martedì 17 febbraio 2009

C'è cattolico e cattolico

Per cortesia non fate di tutta l'erba un fascio, non tutti i cattolici la pensano come la CEI o il papa. E a dire la verità non ne sono obbligati, se non in materia di Fede. Sulla Speranza e la Carità che ognuno si regoli in coscienza.
Raccolgo qui alcune voci fuori dal coro ufficiale.

Non abbiamo bisogno di crociati
di Angelo Bertani tratto da ADISTA

Il miglior commento, dopo la morte di Eluana, stava nella email di un amico: “Il Signore ha avuto pietà e l’ha chiamata nella sua dimora eterna. E adesso dobbiamo pregare perché abbia pietà anche degli spietati”.

Abbiamo vissuto, infatti, un’apocalisse: svelamento della nostra tragica incapacità di attraversare una vicenda difficile senza perdere la pietà e la ragionevolezza, il senso del limite e del bene comune. Mentre i media diffondevano dalle strade e dal parlamento lo spettacolo osceno di quelli che gridavano “assassini!”, le persone semplici si scambiavano parole di dolore, di partecipazione e di preoccupazione crescente.

Fra i “grandi”, parole chiare e sensate, giunte quasi impreviste come da un’antica riserva dimenticata, le hanno pronunciate Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti e l’arcivescovo Giuseppe Casale. Tre “ex”, quasi a dimostrare che solo lontano dal potere e dagli interessi immediati si trova libertà e saggezza.

L’impressione è di aver assistito ad una grande, scandalosa, operazione di potere concertata tra alcuni personaggi ecclesiastici e una parte politica.

Nella Chiesa ci saranno tempo e occasioni, speriamo, di riflettere. E forse di chiedere perdono. Ma soprattutto ci sarà modo di comprendere che chiamare la legge e la politica a conservare, quasi senza discernimento, qualunque situazione di vita, in qualunque modo, significa negare gli spazi della libertà e della coscienza (delle persone, dei medici, dei familiari…). E significa cadere in un delirio di onnipotenza e di onniscienza, assumere l’atteggiamento farisaico di quelli che impongono pesi insopportabili agli altri e non sono né disposti né capaci di portare essi stessi neppure pesi molto minori.

Certo per i credenti la vita è dono di Dio; e dev’essere amministrata dall’uomo secondo il volere di Dio con intelligenza e amore. Si tratta di trovare le parole giuste per dirlo; e soprattutto di testimoniarlo coi fatti.

È apparso scandaloso invece che sul dramma della famiglia Englaro si sia costruita un’operazione politica, un’alleanza che appare organica, tra lo schieramento politico conservatore e l’integralismo cattolico dominante. Un’alleanza che va sotto i vessilli della “cultura della vita” contrapposta alla cultura della morte!

Paradossale: buona parte dei nuovi crociati della vita hanno accettato e condiviso le guerre di Bush, l’idea dello scontro di culture e religioni, ignorano totalmente i poveri del terzo mondo e anche quelli di casa nostra. Sono i protagonisti e i servi del sistema politico-economico che privilegia il danaro sugli uomini, il benessere sulla giustizia, la potenza sulla ragione. Sono quelli che non si commuovono per i poveri che bussano alla porta di Epulone, né per quelli che non riescono neppure ad arrivare sulle nostre coste e affogano nel Mediterraneo. E se proprio restano qui li farebbero denunciare dai medici la prima volta che vanno a curarsi. Sono magari persino come quelli che negano i lager e non avevano nulla da dire su Guantanamo… se non che anche Stalin faceva così!

Nei giorni scorsi molti politici (ma anche molti ecclesiastici) hanno dimostrato di non conoscere e di non rispettare il proprio “limite”; di non sapere quel che sta “al di là della politica”. È stato dissipato molto di quel sentire comune che è patrimonio prezioso di un Paese. Abbiamo subito un danno enorme, anche se non tocca il Pil. È stato minacciato addirittura di cambiare la Costituzione per dare ancora più potere al Presidente (al presidente del consiglio dei ministri!) e fare un altro passo verso la “democrazia autoritaria”. E tutto questo sotto le bandiere della “cultura della vita”! Noi ci domandiamo se non sia necessario che si alzi qualche voce in più, serena e autorevole, per dire che questa strada porta al disastro: non può e non dev’essere percorsa.


L' ETICA DI FRONTE ALLA VITA VEGETALE di VITO MANCUSO da Repubblica

SE LE circostanze non fossero tragiche, si potrebbe dire alla Chiesa gerarchica dei nostri giorni, con una leggera ironia e una pacca sulla spalla: "Dio esiste ma non sei tu, rilassati". Il problema infatti è anzitutto nervoso. Riguarda il controllo dei sentimenti e delle passioni. Un controllo che la direzione spirituale sapeva insegnare agli uomini di Chiesa di un tempo, e che invece oggi sembra smarrito. Assistiamo allo spettacolo di una Chiesa isterica: che non è amareggiata ma arrabbiata, che non parla ma grida, anzi talora insulta, che non suggerisce ma ordina, che non critica ma impone alzando la voce, o facendo pressioni su chi tiene il bastone del comando. Non discuto la buona intenzione di combattere per la giusta causa, mi permetto però di dubitare sullo stile e più ancora sull' efficacia evangelizzatrice di tale battaglia.
L' unico "cardinale" che ha pronunciato parole sagge e coraggiose è stato Giulio Andreotti, quando ha giudicato il decreto governativo un' indebita invasione nella sfera privata delle persone. Andreotti è uno dei rari cattolici che ancora ricorda e pratica la capitale distinzione tra etica e diritto, che è, a mio avviso, il punto decisivo di tutta la questione. Personalmente ero contrario all' interruzione dell' idratazione di Eluana.
Se mi trovassi io a vivere una condizione del genere (o peggio ancora uno dei miei figli) vorrei che mi si lasciasse al mio posto di combattimento nel grande ventre della vita anche con la sola vita vegetale: nessun accanimento terapeutico, ma vivere fino in fondo la vita lasciandomi portare dall' immenso respiro dell' essere, secondo la tradizionale visione della morale della vita fisica non solo del cattolicesimo ma anche delle altre grandi tradizioni spirituali. Chissà poi che cosa significa "vita vegetale": da precisi esperimenti è risaputo che anche le piante provano emozioni, e reagiscono con fastidio a un certo tipo di musica e con favore a un altro (dicono che la preferita sia la musica sacra indù della tradizione vedica). La vita vegetale è una cosa seria, ognuno di noi la sta vivendo in questo momento, basta considerare la circolazione del sangue, il metabolismo, il sistema linfatico.
Il fatto, però, è che non si trattava di me, ma di Eluana, e che ciò che è un valore per me, non lo era per lei. Una diversa concezione della vita produce una diversa etica, e da una diversa etica discende una diversa modalità di percepire e di vivere le situazioni concrete, così che ciò che per uno può essere edificazione, per un altro si può trasformare in tortura. Si pensi alla castità, alla clausura, al martirio e ad altri valori religiosi, che per alcuni non sono per nulla valori ma un incubo spaventoso solo a pensarli.

Il padre di Eluana ha lottato per liberarla da ciò che per lei era una tortura, ed è probabile che la conoscesse un po' meglio del ministro Sacconi e del cardinal Barragan. Grazie allo stato di diritto, alla fine l' ha liberata. Io non sono d' accordo? È un problema mio, non si trattava di me, ma di lei. Tutto molto semplice, come sempre è semplice la verità.
Ora aspettiamo una legge sul testamento biologico, e io penso che il compito dello Stato sia precisamente quello di produrre, a partire dalle diverse etiche dei cittadini, una legge ove tutti vedano riconosciuta la possibilità di vivere e di morire secondo la propria concezione del mondo. Se lo Stato fa questo, realizza la giustizia, che, com' è noto, consiste nel dare a ciascuno il suo. La distinzione tra etica e diritto è decisiva.
A questo punto però sento la voce di Benedetto XVI che rimprovera questa mia prospettiva di "relativismo" in quanto privilegia la libertà del singolo a scapito della verità oggettiva. È mio dovere cercare di rispondere e lo faccio ponendo una domanda: Dio ha voluto oppure no l' incidente stradale del 18 gennaio 1992 che ha coinvolto Eluana? A seconda della risposta discende una particolare teologia e una particolare etica. Io rispondo che Dio non ha voluto l' incidente. L' incidente, però, è avvenuto. In che modo allora il mio negare che Dio abbia voluto l' incidente non contraddice il principio dell' onnipotenza divina? Solo pensando che Dio voglia sopra ogni cosa la libertà del mondo, e precisamente questa è la mia profonda convinzione. Il fine della creazione è la libertà, perché solo dalla libertà può nascere il frutto più alto dell' essere che è l' amore. Ne viene che la libertà è la logica della creazione e che la più alta dignità dell' uomo è l' esercizio della libertà consapevole deliberando anche su di sé e sul proprio corpo. È verissimo che la vita è un dono di Dio, ma è un dono totale, non un dono a metà, e Dio non è come quelli che ti regalano una cosa o ti fanno un favore per poi rinfacciartelo in ogni momento a mo' di sottile ricatto.

Vi sono uomini di Chiesa che negano al singolo il potere di autodeterminazione. Perché lo fanno? Perché ospitano nella mente una visione del mondo all' insegna non della libertà ma dell' obbedienza a Dio, e quindi sono necessariamente costretti se vogliono ragionare (cosa che non sempre avviene, però) a ricondurre alla volontà di Dio anche l' incidente stradale di Eluana. Delle due infatti l' una: o il principio di autodeterminazione è legittimo perché conforme alla logica del mondo che è la libertà (e quindi l' incidente di Eluana non è stato voluto da Dio); oppure il principio di autodeterminazione non è legittimo perché la logica del mondo è l' obbedienza a Dio (e quindi l' incidente è stato voluto da Dio). Tertium non datur.
Per questo io ritengo che la deliberazione della libertà sulla propria vita non solo non sia relativismo, ma sia la condizione per essere conformi al volere di Dio. Il senso dell' esistenza umana è una continua ripetizione dell' esercizio della libertà, a partire da quando abbiamo mosso i primi passi, con nostra madre dietro, incerta se sorreggerci o lasciarci, e nostro padre davanti, pronto a prenderci tra le sue braccia.
In questa prospettiva ricordo alcune parole del cardinal Martini: «È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all' uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona... La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto». Il valore assoluto è la dignità della vita umana che si compie come libertà. Sarebbe un immenso regalo a questa nazione lacerata se qualche esponente della gerarchia ecclesiastica seguisse l' esempio della saggia scuola democristiana di un tempo esortando gli smemorati politici cattolici dei nostri giorni al senso della laicità dello stato. Li aiuterebbe tra l' altro a essere davvero quanto dicono di essere, il partito "della libertà". Che lo siano davvero e la garantiscano a tutti, così che ognuno possa vivere la sua morte nel modo più conforme all' intera sua vita
.


Vi invito inoltre caldamente a leggere Vivere e morire secondo il Vangelo di Enzo Bianchi (Santo subito!) Priore di Bose.

2 commenti:

  1. Mi piacerebbe affrontare in Clan queste tematiche, ma sono un povero Maestro dei Novizi che deve volare basso per sfuggire ala contraerea... ogni tanto lancio qualche spunto e i ragazzi ci si aggrappano..
    Adesso copioincollo sul mio blog o metto un link al tuo.
    A presto,
    Angelo

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  2. Desso li giro in giro! Al libro de Bianchi tu lo ha tu?

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Automoderatevi, altrimenti vi censuro.